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Roma, 11 maggio 2008
I VERDI HANNO ANCORA UN FUTURO IN ITALIA ?
Intervento di Marco Boato
al Consiglio Federale nazionale dei Verdi tenutosi a Roma l'11 maggio 2008

Nuotare in mare aperto. Buon giorno a tutte e a tutti gli amici Verdi, anche se non so davvero se questo sarà un buon giorno o forse invece la giornata che segnerà l’inizio della fine dei Verdi italiani.

In realtà i Verdi hanno già iniziato da molto tempo – non solo dalle ultime elezioni politiche – un loro finora inarrestabile declino a livello nazionale e ormai anche purtroppo in molte realtà regionali e locali. Ma poiché – toccato il fondo – le persone ragionevoli non dovrebbero che prenderne atto realisticamente e tentare di risalire a galla e ricominciare a nuotare in mare aperto, ero venuto a questo ultimo – forse ultimo per davvero? – Consiglio federale con l’intenzione di capire con tutti voi (e con molti altri Verdi che disperatamente guardano a questo incontro da tante parti d’Italia, nonostante tutto) – ripeto: di capire con tutti voi se ci siano o ci possano essere le condizioni politiche, culturali, umane e anche esistenziali per “un nuovo inizio”.

“Un nuovo inizio” o un “cupio dissolvi”?
“Un nuovo inizio”? Mi chiedo e vi chiedo con una qualche brutale franchezza. Ripeto: “Un nuovo inizio”? Nonostante lo sforzo in questa direzione che alcune e alcuni amici Verdi stanno da settimane facendo, anche partendo da esperienze e da punti di vista storicamente diversi, mi sembra che da parte di troppi altri si stia ostinatamente remando contro, in una sorta di “cupio dissolvi”, che potrebbe portare in queste ore alla definitiva disgregazione dei Verdi.

Se, nonostante tutto, ho chiesto la parola ed ho deciso di parlare, è perché sono un laico, integralmente laico, in politica, ma sono anche un cristiano, e so che la speranza è una virtù teologale.

“Spes contra spem”.
“Spes contra spem”, è il monito biblico che potrebbe essere applicato anche a noi: la speranza contro la disperazione. Ma nelle realtà terrene non sempre la speranza vince, soprattutto quando quelli che dovrebbero essere “Hoffnungsträger” (per usare una bella e drammatica espressione di Alexander Langer), e cioè portatori di speranza, perdono qualunque orientamento generale e si arrabattano soltanto a cercare di cambiare tutto per non cambiare niente.

Non c’è davvero speranza se – dopo uno “tsunami” politico prima che elettorale, dopo una sconfitta epocale e per ora senza appello – un gruppo dirigente ormai arrivato al capolinea si preoccupa ancora non di interrogarsi su come poter servire i Verdi, ma di come continuare a servirsi dei Verdi per auto-perpetuarsi sul nulla.

Sì, perché in queste ore, e nei giorni che le hanno precedute, c’è chi ha pensato soprattutto al modo di succedere a se stesso e a se stessi per gestire il nulla, per occupare il nulla, per dirigere ancora il nulla.

Se fossimo su un piano religioso, anziché in un ambito di laicissima politica, questo apparirebbe come una sorta di “peccato contro lo Spirito Santo”, quei peccati per cui non c’è perdono e non c’è remissione della colpa.

Siegmund Freud avrebbe detto, con linguaggio psicoanalitico, che c’è chi ha perso letteralmente il “principio di realtà”, e continua ad aggirarsi in un mondo onirico, che non esiste più.

Servire i Verdi e non servirsi dei Verdi.
C’è qualcuno che mi sembra davvero continuare ad aggirarsi ancora tra i Verdi letteralmente in stato ipnotico. C’è qualcuno che pensa che ci sia ancora qualche pezzetto di potere da spartirsi o da controllare, e non si è ancora accorto che si tratta del potere sul nulla, del potere del nulla. C’è qualcuno che non ha ancora capito che – dopo aver ormai portato i Verdi sull’orlo del baratro, ma temo ormai fin dentro il baratro – l’unico servizio che può rendere ancora, non a se stesso ma ai Verdi, è quello non di “andare a casa” (perché nessuno “deve andare a casa”: abbiamo bisogno di tutti), ma di chiedersi come servire finalmente i Verdi, e non più servirsi dei Verdi.

Consapevolezza dei propri errori e limiti.
Ho sentito riecheggiare – a giustificazione della disfatta dove siamo stati condotti – persino l’evocazione di un complotto mediatico contro di noi. E questo viene detto da chi è comparso vanamente pressoché tutte le sere in televisione, da chi ha partecipato da solo, e sempre lui solo, a decine e decine di trasmissioni di “Porta a Porta”, per non parlare d’altro, senza mai chiedersi se quelle ripetute apparizioni televisive – quasi una sorta di coazione a ripetere, ancora una volta in senso freudiano – aumentassero o facessero invece di volta in volta diminuire il prestigio e il consenso dei Verdi.

Guardate che quando si arriva ad invocare un complotto mediatico per crearsi un alibi per la propria sconfitta epocale – quando si arriva a questo significa davvero che si è perso il principio di realtà, il senso della realtà, il contatto con la gente, la consapevolezza dei propri errori e dei propri limiti.

Nessuno vuole infierire nel momento della sconfitta, e nessuno fortunatamente l’ha fatto in questo Consiglio federale o altrove, ma a patto che non si continui ad ingannarsi e ad ingannarci, a patto che si prenda atto e si riconoscano le proprie responsabilità.

Mi tocca ricordare che Luigi Manconi – a cui pure non era andato il mio voto, ma col quale ero stato sempre leale, come sono stato leale sempre con tutti – ripeto: che Luigi Manconi ha dato le proprie irrevocabili dimissioni, annunciandole subito all’ANSA, un minuto dopo il risultato delle elezioni europee del 1999, che furono sì una sconfitta, ma non catastrofica, dal momento che eleggemmo comunque due parlamentari europei.

Doverose dimissioni dopo la catastrofe elettorale.
Anche questa volta è giunta una lettera di dimissioni, ma senza una parola di autocritica e dopo ben sette giorni dal risultato elettorale, e dopo che qualcun altro della Sinistra Arcobaleno aveva zittito Grazia Francescato, che in diretta televisiva aveva giustamente ricordato come, in qualunque paese europeo, gli interi gruppi dirigenti si sarebbero dimessi immediatamente dopo, un minuto dopo una simile catastrofe elettorale.

Eppure, ancor oggi non abbiamo finora ascoltato il doveroso e pur sempre tardivo annuncio di dimissioni, doverose e in blocco, dell’Esecutivo nazionale dei Verdi, che con il Presidente porta intera la responsabilità della fallimentare conduzione politica di questi anni.

Un suicidio politico che viene da lontano.
La catastrofe, il vero e proprio suicidio politico dei Verdi dentro l’avventura della Sinistra Arcobaleno non è analizzabile nell’arco di questi ultimi mesi, ma viene da lontano, da molto lontano.

Personalmente ho sempre evitato polemiche pubbliche riferite alle vicende interne ai Verdi, perché non sono un maniaco delle vacue dichiarazioni quotidiane alle agenzie di stampa. A questo proposito – e lo dico per inciso – invito chi questo sport delle dichiarazioni non più quotidiane di agenzia continua scioccamente a praticare, lo invito davvero a smetterla, perché nessuno giustamente le raccoglie sui giornali e soprattutto non rappresentano niente e nessuno. Sono mere dichiarazioni di esistenza in vita, che alla fine diventano persino patetiche per chi le fa e per chi le legge.

Ci sono modi migliori e più efficaci per dimostrare in modo credibile la propria esistenza in vita. E questi modi consistono non nel dichiarare a vuoto, ma nel fare, nel concreto operare con i Verdi e con i cittadini, per realizzare esperienze concrete e non per declamare frasi ormai prive di qualunque reale significato politico e culturale.

Chiusa questa parentesi, vorrei tornare a ricordare che – pur al di fuori di qualunque polemica pubblica, per non danneggiare la già fragile immagine dei Verdi – da anni e anni ho ammonito i Verdi a uscire dalla sterile collocazione politica sempre più schiacciata sull’estrema sinistra.

Ben prima che nascesse la Sinistra Arobaleno, per anni i Verdi si sono trovati collocati e raffigurati nei mass media a fianco di Rifondazione comunista e dei Comunisti italiani, senza mai fare nulla per sottrarsi a questo abbraccio mortale e davvero innaturale per i Verdi e per la loro storia.

E poi, via via e sempre più, i Verdi sono diventati parte integrante e subalterna della c.d. “sinistra radicale” e della c.d. “cosa rossa”, perdendo totalmente la propria identità politico-culturale, la propria peculiarità di forza politica trasversale e anche il proprio consenso, che non poteva certo realizzarsi e tanto meno accrescersi nella “riserva indiana” di comunisti, post-comunisti o addirittura neo-comunisti.

I Verdi oltre le ideologie ottocentesche e del ‘900.
Soltanto chi ha dimenticato o rimosso la storia pluridecennale dei Verdi, fin dalle loro origini nei primi anni ’80, può meravigliarsi della mia (ma non solo mia, anche di molti altri) crescente preoccupazione – per non dire altro – nel vedere, negli anni più recenti, una collocazione della leadership dei Verdi sempre più spostata verso l’estrema sinistra, come se fossimo tornati alle ideologie totalizzanti degli anni ’70.

Si trattava dunque già da anni – lo ripeto, ben prima della fallimentare esperienza della Sinistra Arcobaleno – di una posizione assolutamente innaturale (anzi: contro natura) per un movimento politico, come i Verdi, che era nato per superare le ideologie ottocentesche e del ‘900, per andare oltre non solo le ideologie totalizzanti (di destra o di sinistra che fossero), ma anche la logica dell’industrialismo e della crescita indiscriminata (e al feticcio della “crescita” si è purtroppo votata l’intera campagna elettorare di Veltroni: altro che “ecologismo del fare”), per affermare la “cultura del limite” sulle orme del Club di Roma, del Rapporto Bruntland, dello sviluppo ecologicamente e socialmente sostenibile, per realizzare un diverso rapporto tra uomo e ambiente (e tra gli uomini e gli altri animali), per promuovere la conversione ecologica della società e degli stili di vita, per affermare una diversa qualità umana della vita e una diversa qualità sociale dello sviluppo, superando con la cultura ecologica l’ideologia del progresso illimitato e il feticcio del PIL come unico parametro del benessere sociale, anche a costi ambientali e sociali sempre più insostenibili.

I Verdi non sono “sinistra radicale” o “cosa rossa”.
Ora i Verdi sono arrivati davvero al capolinea, dopo lo “tsunami” del 13–14 aprile, che li ha spazzati via dal Parlamento, nel quale erano entrati con orgoglio e lungimiranza – e con un gruppo a maggioranza femminile – oltre 20 anni fa, nel 1987.

Ho già detto che questa sconfitta viene da lontano, con un progressivo spostamento all’estrema sinistra di un movimento che era nato all’insegna della trasversalità e del superamento degli schieramenti tradizionali.

Ma anche per la fase più recente, nessuno almeno nel gruppo dirigente, può affermare di non essere stato avvertito per tempo del suicidio verso cui stavamo andando con determinazione davvero degna di miglior causa.

Il 4 dicembre 2007, a pochi giorni dalla Assemblea di lancio della Sinistra Arcobaleno alla Nuova Fiera di Roma (che si tenne l’8 e 9 dicembre), il presidente della Camera Fausto Bertinotti, in una incredibile e sciagurata intervista a “Repubblica”, parlò di Prodi – presidente del Consiglio in carica, della maggioranza di cui Bertinotti faceva parte come noi – ripeto: parlò di Prodi come del “miglior statista morente”. Ma disse anche molto di peggio e, per non deformare artatamente la memoria, vi leggo testualmente un Sms che inviai quel giorno stesso al Presidente dei Verdi e a molti colleghi parlamentari:
«Vedo che Bertinotti dice: “Voglio garantire a noi il diritto di tornare all’opposizione”. Mi dispiace, ma io per i Verdi penso esattamente l’OPPOSTO.

Il problema dei salari è importante, ma NON È LA NOSTRA PRIORITÀ. I verdi non sono nati per questo e non possono morire come ‘sinistra radicale’o ‘cosa rossa’, di cui solo parla Bertinotti.

FERMIAMOCI PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI E SI SFASCINO I VERDI ! Le alleanze elettorali le potremo sempre fare a tempo debito».

Le alleanze elettorali, appunto, e non un nuovo soggetto politico dell’estrema sinistra, in cui annullare di fatto i Verdi e di cui addirittura in campagna elettorale sono state distribuite le tessere numerate di pre-adesione. Decise da chi, e quando e per che cosa, e autorizzati da quale deliberato congressuale, mi chiedo ancor oggi, come se avessimo assistito inermi e defraudati a una sorta di colpo di mano fraudolento, nei confronti dell’autonomia e dell’identità dei Verdi.

La Sinistra Arcobaleno e la scomparsa dei Verdi. Dunque, questo non è il “senno del poi” (di cui “sono piene le fosse”). In realtà, le fosse sono davvero piene dei cadaveri della Sinistra Arcobaleno, ma quello del mio messaggio del 4 dicembre era il “senno di prima”, che nessuno ha però voluto allora ascoltare, tutti dediti alla propria auto-sopravvivenza, anche a scapito della sostanziale scomparsa dei Verdi.

“Fermiamoci prima che sia troppo tardi e si sfascino i Verdi !”, avevo dunque scongiurato il 4 dicembre 2007. E poi, nel penultimo Consiglio federale all’Hotel Palatino del 27 gennaio 2008, per la prima volta nella mia lunga vita politica avevo preso la parola subito dopo la relazione del Presidente, intervenendo per primo. E anche in quella occasione – molti di voi lo ricordano – avevo, in modo quasi accorato, scongiurato i Verdi di togliersi da quella anomala collocazione all’estrema sinistra e per l’ennesima volta (l’avevo già fatto molte altre volte in passato) avevo scongiurato il Presidente dei Verdi di smetterla col suo protagonismo individuale nei mass media e di dare finalmente una immagine “di squadra” dei Verdi e inoltre non più solo maschile: avevo persino citato per nome Grazia Francescato, Anna Donati, Monica Frassoni, Loredana De Petris, Luana Zanella, Paola Balducci, Annamaria Procacci – oggi aggiungerei Barbara Diolaiti e altre –, per fare esempi di donne che di volta in volta avrebbero potuto al meglio rappresentare i Verdi nei mass media, superando quella incredibile presenza monocratica maschile.

Anche allora, il 27 gennaio, mi ero dichiarato assolutamente contrario a qualunque ipotesi di soggetto politico unico, che – dissi testualmente – “segnerebbe la scomparsa dei Verdi” e avevo inutilmente ammonito la leadership dei Verdi a non subire l’ “egemonia comunista e post-comunista”, come poi invece è stato per tutta la campagna elettorale, fino al punto che persino “Notizie Verdi” sembrava diventato una succursale di Rifondazione Comunista, con conseguente perdita di voti e di consensi ad ogni arrivo, sempre più dannosamente frequente, nelle case degli iscritti Verdi, sempre più allibiti e sorpresi di dover ricevere e leggere un sotto-prodotto del genere.

Innaturale per i Verdi la collocazione all’estrema sinistra.
No, dunque, il mio (e di molti altri, che si sono trovati coinvolti e travolti in una scelta sostanzialmente imposta e non condivisa) non è davvero il “senno del poi”, anche se le fosse sono piene ugualmente.

Nei primi giorni della campagna elettorale, che ho fatto con assoluta lealtà anche e particolarmente dopo la mia esclusione dalla candidatura, accettata in modo del tutto disciplinato (una esclusione che, del resto, mi ha evitato una ulteriore amarezza personale: dunque, mi vien da dire con un po’ di sarcasmo o di auto-ironia, una esclusione a fin di bene nei miei confronti...) – ripeto: nei primi giorni della campagna elettorale ho dato, su loro richiesta, una intervista a Radio Radicale, così ripresa dalle agenzie di stampa il 19 marzo 2008, sotto il titolo: “Sinistra Arcobaleno: Boato, per i Verdi innaturale collocazione a estrema sinistra”.

Ve la leggo integralmente, anche perché pure questa volta si tratta del “senno di prima”, e non del “senno del poi”.
«“Auguro il massimo successo alla Sinistra Arcobaleno, ma penso che dal 15 aprile dovrà aprirsi una forte riflessione critica e autocritica nell’ambito dei Verdi”. Lo dice a Radio Radicale Marco Boato, che aggiunge: “Io sono nei Verdi dall’inizio, con Alex Langer, e penso che non sia immaginabile che un lavoro fatto per un quarto di secolo, anche in Europa, di costruzione di questo soggetto politico possa essere liquidato per un fenomeno di insipienza politica e di incapacità di direzione politica, che purtroppo ormai è sotto gli occhi di tutti”.

Boato conclude: “Facciamo questa campagna elettorale e facciamo in modo che il risultato sia il migliore possibile, ma poi senza livore, senza astio, senza scissioni dell’atomo, apriamo una grande riflessione politica, perché il ruolo dei Verdi dovrebbe essere nell’ambito di una grande area laica, radicale, ambientalista, riformista, socialista e non può essere un ruolo, invece, schiacciato e addirittura alla fine annichilito in una collocazione di estrema sinistra, che per i Verdi è del tutto innaturale”».

Non ci sono rendite di posizione: necessaria una svolta profonda.
Ho detto che ora i Verdi sono arrivati davvero al capolinea, dopo lo “tsunami” del 13-14 aprile che li ha spazzati via dal Parlamento.

Ma poiché vedo che c’è chi pensa di ritirarsi nei fortini regionali o locali, vorrei segnalare – a chi non se ne fosse accorto – che i Verdi in queste elezioni amministrative sono anche scomparsi dal Consiglio comunale di Roma, dove nel 1993 l’allora capogruppo alla Camera dei Verdi era diventato il primo e unico sindaco verde al mondo di una capitale di Stato. Oggi dunque i Verdi non sono più presenti nel Consiglio comunale di Roma e ieri abbiamo saputo che sono stati esclusi anche dalla neo-costituita Giunta provinciale di Roma.

Vorrei anche segnalare che, dopo essere scomparsi l’anno scorso dal Consiglio comunale di Verona, sono ora scomparsi anche dal Consiglio comunale di Brescia, città conquistata dal centro-destra dopo 45 anni di governo del centro-sinistra.

Per chi non se ne fosse accorto, vorrei segnalare che nessun Verde è stato eletto nella Assemblea regionale siciliana, ma anche che nessun Verde è stato rieletto ora nel Consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia, la cui presidenza e maggioranza è stata conquistata dal centro-destra, con la sconfitta di Illy e della sua coalizione.

Ho tralasciato molte altre città e province, solo per carità di patria. Ma ho ricordato tutto questo, a chi si fosse distratto, per far capire che non ci sono più rendite di posizione garantite a livello regionale o locale, dove i Verdi sono destinati o a scomparire o a essere ridotti ai minimi termini, se non ci sarà una svolta profonda e questa sì “radicale” anche a livello regionale e locale, oltre che a livello nazionale.

Se “un nuovo inizio” deve esserci – ma non so se ci sarà – questo deve riguardare tutto il corpo dei Verdi, a cominciare ovviamente dal livello nazionale, ma senza che nessuno si illuda di avere qualche “fortino” o qualche “ridotta” in cui trincerarsi in modo autocratico, salvo poi risvegliarsi amaramente alla prossima tornata di elezioni amministrative o regionali (le prossime, il 25 maggio, sono in Val d’Aosta e poi, il 26 ottobre, in Trentino e in Alto Adige/Südtirol, e saranno la prima cartina di tornasole per capire eventuali capacità di invertire la tendenza catastrofica in atto).

Non è arrivata al capolinea la questione ambientale: la necessità di una cultura ecologica di governo.
Ho detto e ripeto che – se non ci sarà una svolta di 180 gradi, un cambiamento profondo e non un aggiustamento gattopardesco – i Verdi sono arrivati al capolinea.

Ma non è arrivata al capolinea la questione ecologica, la centralità della questione ambientale, l’importanza di uno stretto rapporto tra economia ed ecologia, la promozione dei diritti umani e la tutela dei diritti civili, la cultura della pace e della convivenza, la battaglia per la giustizia e lo Stato di diritto.

E non è arrivata al capolinea la crescente necessità di una cultura ecologica di governo, nel momento in cui i cambiamenti climatici, l’effetto serra, la questione energetica, l’inquinamento atmosferico, le malattie di origine ambientale, il dramma dell’acqua e della desertificazione, e via elencando, sono tra i punti prioritari dell’agenda politica europea e mondiale, e dovrebbero esserlo anche dell’agenda politica italiana.

Cambiare rotta, gruppo dirigente e metodo di direzione politica. Dunque, o i Verdi cambiano radicalmente rotta e gruppo dirigente, metodo di direzione politica e rapporto con la società e le istituzioni a tutti i livelli, in un’ottica autenticamente federalista anche al proprio interno, superando inoltre ogni mentalità centralistica da piccolo partito monocratico o oligarchico, per ritornare all’altezza di queste sfide epocali sul piano politico, ma anche culturale e scientifico, e persino umano e degli stili di vita, oppure i Verdi italiani sono destinati rapidamente a scomparire, non solo dal Parlamento nazionale ma anche da quello europeo, e via via anche dalle Regioni e dagli enti locali, dove pure sono nati con l’ “Arcipelago Verde” e poi con la Federazione delle Liste Verdi negli anni ’80.

Riaprirsi all’esterno, recuperare energie, competenze e risorse umane. Per fare questo i Verdi devono prendere – oggi o mai più, perché rischieranno altrimenti di dissolversi rapidamente – decisioni drastiche e condivise.
Non una resa dei conti interna, che assomiglierebbe ad una scissione dell’atomo od ormai addirittura sub-atomica, ma una svolta, questa sì, “radicale”, per dare vita fin da subito ad un vero e proprio “nuovo inizio”.
E, per fare questo, oltre a un percorso interno che sia da subito di profonda innovazione e di cambiamento non mimetico e ipocrita, i Verdi devono ricominciare immediatamente ad aprirsi all’esterno, senza rigidità e senza settarismi, recuperando energie e risorse umane perdute e conquistandone altre nuove, anche sul piano culturale e scientifico.
Sul piano politico, con umiltà e senza arroganza, senza spocchia, con generosità e lungimiranza, guardando non a tutelare se stessi ma a valorizzare la centralità della questione ecologica e del punto di vista ecologico rispetto a tutti i problemi economici, sociali e istituzionali, i Verdi devono pazientemente riprendere la strada del confronto e del dialogo a tutto campo, nel centro-sinistra rispetto a tutte le sue componenti e in una logica di coalizione (ben sapendo che c’è chi la coalizione non l’ha voluta, ma è andato a sbattere e si è fatto male e ora deve riaprire il dibattito sulle alleanze), ma anche nella società rispetto al mondo dell’associazionismo e delle iniziative civiche, dentro e fuori le istituzioni rappresentative, recuperando in pieno la propria trasversalità politica, sociale e culturale.

Un “nuovo inizio” dei Verdi: dialogo con tutti, senza subalternità a PD o altri.
Se ci sarà la volontà, da subito, oggi stesso – o, temo, mai più – di fare questo, l’unica discriminante sarà tra chi vuole davvero un “nuovo inizio” per i Verdi italiani, e chi invece pensa a percorsi alternativi o verso il PD o verso qualche pezzo residuo della defunta Sinistra Arcobaleno. Noi dovremo dialogare con tutti – abbiamo già cominciato a farlo nei giorni scorsi con i radicali, nella loro aperta e ospitale Assemblea di Chianciano dal 2 al 4 maggio –, ma senza diventare subalterni o collaterali a nessuno.

Ma per fare questo in piena libertà e autonomia, sia pure con l’umiltà e la consapevolezza dei nostri limiti attuali, dobbiamo girare davvero pagina e non possiamo ripresentarci con chi ci ha rappresentato fino a portarci alla disfatta e oggi magari pretenderebbe anche di indicarci e dettarci la linea della ripresa, del cambiamento, del rinnovamento. No! Sia detto col massimo rispetto per tutti, ma non si può mettere vino nuovo in otri vecchi. Non saremmo credibili, nessuno ci crederebbe, nessuno ci darebbe ascolto e men che meno consenso: non solo le forze politiche, con cui pur dovremo interloquire, ma penso prima di tutto e soprattutto ai cittadini che abbiamo illuso e deluso al tempo stesso.

Alexander Langer e Claudia Roth: il “segreto” dei Grünen.
Voglio concludere, leggendovi alcuni passi di uno degli ultimi testi di Alexander Langer, poche settimane prima di morire il 3 luglio 1995. In quella primavera del 1995 Alex ha intervistato, per i Verdi italiani, Claudia Roth, ancor oggi co-portavoce dei Verdi tedeschi.

Alex parla della “traversata nel deserto” dei Grünen, che dal 1990 al 1994, per loro gravi errori all’epoca della riunificazione tedesca, erano rimasti esclusi dal Bundestag e che nel 1995 non solo erano rientrati nel Parlamento tedesco, ma si stavano preparando alla possibile alleanza di Governo, che si realizzò tre anni dopo, con la SPD di Schröder, nel cui Governo di coalizione Joschka Fischer divenne Vice-Cancelliere e Ministro degli Esteri. Ascoltate la domanda di Alex e la risposta di Claudia Roth.

«Langer: Molti di voi, anche tu stessa, hanno una tradizione piuttosto radicale, più di opposizione e di critica fondamentale che di partecipazione alla gestione di qualcosa. Ed oggi siete forza di governo in molti posti e forse siete in procinto di andare in tempi non lontani al governo della prima potenza europea! Cosa succede in Germania? I Verdi hanno attraversato felicemente il loro deserto e stanno obbligando tutti ad una specie di terra promessa della correzione, se non proprio conversione ecologica?

Roth: Il segreto del nostro successo sta soprattutto nella capacità, finalmente consolidata, di mettere insieme radici così diverse e molteplici, e farle davvero coesistere fruttuosamente. Siamo una coalizione in cui trovi la contadina e la femminista, il sindacalista e l’ecologista anti-industriale, i militanti dei diritti civili e promotori dei diritti omosessuali come alcune delle frange più impegnate delle chiese protestanti e cattoliche. Abbiamo imparato a rispettare le nostre differenze più che combatterle, e ci sentiamo responsabilmente parte di un progetto comune. L’ecologia da noi non viene vista come “settore ambiente”: forse questo ci ha risparmiato la sorte dei Verdi francesi. Abbiamo impiegato del tempo per smaltire le ripercussioni della caduta del muro che ci ha obbligato ad allargare i nostri orizzonti. Così abbiamo anche imparato ad essere meno pretenziosi nei confronti degli altri Verdi d’Europa cui magari credevamo di impartire lezioni.» (cfr. “La Via Verde”, Passigli editore, Firenze 1995, pp.111–113).

La nostra “traversata del deserto”.
Ora iniziamo anche noi la nostra “traversata del deserto” e ci piacerebbe poter dire, tra cinque anni, come Claudia Roth nel 1995: “Oggi gli elettori sanno bene cosa vuol dire una politica con i Verdi e cosa ne è quando invece i Verdi mancano. I sintomi di astinenza si sono chiaramente sentiti tra il 1990 e il 1994, e nessuno vorrebbe più fare a meno di noi”.

Non so se saremo in grado anche noi di far sentire “i sintomi di astinenza” dai Verdi agli elettori italiani tra il 2008 e il 2013, anche perché non so se noi saremo in grado di sopravvivere alla nostra ancor più lunga “traversata del deserto”.

Personalmente ho dedicato quasi metà della mia vita ai Verdi: oltre un quarto di secolo, dai primissimi anni 80! Non ho mai abbandonato il mio impegno con i Verdi anche quando sono rimasto fuori dal Parlamento e ho sempre continuato a lavorare con i Verdi nella mia regione, il Trentino, in stretto rapporto con i Verdi sudtirolesi, come sto facendo anche in questi giorni, preparando – e non è facile in questo contesto politico e in questo discredito nella società civile – le elezioni regionali e provinciali del prossimo 26 ottobre, dopo le quali già da un anno ho preannunciato le mie dimissioni, per promuovere un ricambio generazionale e mi auguro anche un ricambio di genere.

Una fase di transizione, non una riverniciatura di facciata.
Anche se avevo fatto altri programmi per la mia vita personale e familiare – avendo speso una quantità enorme di energie nell’impegno politico e istituzionale di questi anni –, mi sono dichiarato disponibile, a chi, da più parti, me l’ha chiesto in queste settimane, a dare ancora una mano (ma anche la mente e il cuore) ai Verdi, se si creano da subito le condizioni per “un nuovo inizio”. Sono, con assoluta umiltà e senza protagonismi personali, disposto a lavorare per e con i Verdi a livello nazionale per un perio-do definito, per garantire con poche altre e altri la necessaria fase di transizione e anche qui un ricambio generazionale e di genere.

Non sono disponibile – l’avete capito fin dalle prime parole di questo mio intervento, che ho voluto integralmente scrivere questa notte per non essere equivocato – ripeto: non sono disponibile a una riverniciatura di facciata, a un cambiare tutto perché non cambi nulla, a un nuovo assemblaggio correntizio o di piccoli gruppi di piccolo, fatuo potere.

A questo – chiamatelo gattopardismo, chiamatelo opportunismo, chiamatelo trasformismo, chiamatelo come volete, ma avete capito perfettamente cosa intendo dire –, a tutto questo non sono in alcun modo disponibile, perché sarebbe il modo più ipocrita per decretare la fine definitiva dei Verdi italiani senza neppure dirlo.

L’etica della responsabilità e il “principio speranza” per un nuovo inizio dei Verdi.
È morto nel dopoguerra il piccolo–grande Partito d’Azione, che era il partito di mio padre, laico non–credente, e di mia madre, cattolica, ma laica anche lei. È morta nel 1976 Lotta Continua, che era la formazione extra-parlamentare, di cui avevo fatto parte nei miei anni giovanili.

Ero ancora giovane, non ancora quarantenne, quando con Alex Langer e tanti altri abbiamo contribuito a costruire dal basso i Verdi italiani. Con i Verdi sono invecchiato, e non ho rimpianti. Ma non sono disposto a giocare le mie energie – quelle che mi restano –, il mio impegno e la mia credibilità per un simulacro camuffato dei Verdi. Questo no, ve lo ripeto e lo ripeto a tutti: questo no. Se possiamo e vogliamo credere che sia possibile “un nuovo inizio”, dobbiamo dimostrarlo oggi stesso, in modo disinteressato, generoso e lungimirante. E per il futuro dovrà contare per tutti l’impegno politico, il lavoro culturale, la ricerca scientifica con chi è in grado di farla, la militanza personale, non le tessere moltiplicate come i pani e i pesci, non i piccoli potentati locali o nazionali, non le cordate che mirano a tutelare se stessi, più che l’ambiente e la qualità della vita.

Guardate che oggi – proprio oggi, non domani o fra due mesi o due anni – il possibile futuro dei Verdi è nelle vostre mani, e soprattutto nelle vostre intelligenze e nei vostri cuori.

Se da subito si gira pagina, consensualmente, con l’etica della responsabilità di Max Weber, con il “principio speranza” di Ernst Bloch, con la volontà di chiudere con gli aspetti più deteriori del passato, io ci sarò e lavorerò ancora con voi e per voi.

In caso contrario, una parte di voi si prenderà una diversa e ben più terribile responsabilità, dichiarando di fatto la morte dei Verdi per incapacità o non volontà di reale cambiamento.

Poi, come sempre succede in questi casi in cui il tragico si mischia col patetico, ci sarà qualche strascico organizzativo, qualche conseguenza finanziaria, magari anche qualche causa di lavoro. Ma i Verdi saranno morti e solo Gesù Cristo è in grado di resuscitare i morti (per la verità l’ha fatto una volta sola, con Lazzaro), gli umani no. Sta a voi decidere. Non so ancora se sia un buon giorno.

Marco Boato

 

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